Il cannone del Re

1 Agosto 2021 Tempo di lettura: 4

Una mia breve storiella per bambini, anche per quelli ormai cresciuti.

I cannoni non hanno un'anima, un cervello, un cuore. Un cannone è fatto per sparare. Punto. Ma che altro dovrebbe voler fare un cannone? Insomma, diciamocelo: per quale motivo si dovrebbe mai chiedere a un cannone se desidera sparare? E, infatti, nessuno glielo chiese mai, a lui come a nessun altro cannone. Ma lui non sembrava interessato ad essere come gli altri cannoni.

Dono del Principe di Neauterre, il Re lo tenne a lungo dimenticato nell'armeria reale (a onor del vero visitata molto di rado, dato che Sua Altezza non amava sporcarsi direttamente le mani con le guerre da lui sostenute o cagionate, preferendo concedere questo onore ai suoi generali). Ma un giorno, deciso a mostrare al popolo le sue reali doti di guerriero, il Re organizzò una piacevole dimostrazione senza rischi. Tuttavia, se i cavalli, gli archibugi e la spada permisero al Sovrano di esibire le sue doti di gran guerriero in tempo di pace, lo stesso non si può dire per il cannone. Il primo colpo mancò clamorosamente il bersaglio, il secondo non fu da meno e il terzo nemmeno partì.

Il Re andò su tutte le furie per la pessima figura rimediata. Non che ciò gli avesse fatto perdere voti (giacché non era mai stato eletto), ma certo aveva fornito di che parlare per settimane nelle osterie del regno.

Il Re allora mandò a chiamare il comandante delle sue guardie personali per determinare le cause di questo increscioso incidente. «E' l'alzo!» sentenziò immediatamente il comandante, con una naturalezza tale da far quasi vergognare il Sovrano, tanto pareva ovvia la diagnosi. Così l'alzo venne ricalcolato, ricalibrato, revisionato; ma il cannone continuò a non funzionare a dovere. E una testa cadde di lì a poco.

Il Re mandò allora a chiamare il comandante dei cavalieri, che analizzò il cannone più a lungo del suo predecessore e, con meno risolutezza del primo, affermò «Probabilmente è la canna». Così la canna venne ripulita, revisionata, controllata; ma, ancora una volta, il cannone continuò a non funzionare a dovere. E un'altra testa cadde.

Il Re mandò allora a chiamare il capo dell'armeria reale, che si presentò meno rapidamente degli altri due, analizzò minuziosamente per ore il cannone (qualche malalingua fraintese la sua scrupolosità e suggerì che stesse solo prendendo tempo, ma sono solo pettegolezzi di corte) e, infine, sussurrò «Potrebbe essere la camera di scoppio», con un tono a mezza via tra l'affermazione e la domanda. Il Re (che non amava le domande a lui rivolte) ordinò di revisionare tutta la miccia e la camera della polvere da sparo; ma, ancora una volta, il cannone continuò a non funzionare a dovere. Questa volta una testa non cadde, ma solo poiché fu inspiegabilmente impossibile rintracciare a corte il capo dell'armeria.

Il Re, turbato dalle ingiuste (e ingiuriose) voci che continuavano a circolare nel regno sulle sue doti di cannoniere, fece allora convocare il capo della fonderia reale. Questi, giunto a cospetto del cannone (e, s'intende, del Re), lo guardò con attenzione, appoggio l'orecchio sul metallo, rimase in silenzio per molti minuti e, poi, disse semplicemente «Mio Signore, questo cannone non vuol sparare». «Che vuol dire?» domando il Re stupito. «Vuol dire che, volendo, potrebbe farlo... Ma non vuole». «Portate via quest'uomo e tagliategli la testa, non ho tempo da perdere!» strillò il Re stizzito. «Mio Sire — disse il capo della fonderia reale mentre le guardie già lo avevano agguantato — Voi mi avete domandato e io vi ho risposto. Siete libero di non credermi, ma di metallo io me ne intendo, e le così stanno così». «Fermi — disse allora il Re alle sue guardie — liberate quest'uomo e uscite tutti».

Solo sul suo trono nella sala, il Re non proferì parola per una buona mezz'ora, socchiuse gli occhi e il suo respiro si fece pesante (ma non dormì, come invece sostiene ancora oggi qualche invidioso). Al termine della sua regale meditazione, il Re suonò una campanella e in molti accorsero nel salone. «Fondete questo cannone e fatene attrezzi per il popolo! — ordinò il Sovrano, e aggiunse, quasi urlando — Questa sarà la sua punizione!».

Ancora una volta, nessuno chiese al cannone che cosa gli sarebbe piaciuto diventare. Ma perché disturbarsi tanto: i cannoni non hanno un'anima, un cervello, un cuore, giusto? Fu così che il cannone divenne rapidamente forconi per i contadini, mestoli per le massaie, accette per i boscaioli e scalpelli per i falegnami. Ma, c'è da scommetterci, questa non fu per lui una gran punizione.

Emanuele Goldoni

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